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La mia Boavista Ultramarathon

La mia Boavista… l’Ultramarathon

La mia Boavista

di Giacomino Barbacetto

È la decima edizione quest’anno e ormai si possono trovare tanti racconti su questa bellissima gara.Non mi va di ripetermi nel narrare passaggi ai vari checkpoint, tempi di percorrenza, distacchi, classifiche ecc.
Voglio raccontare la mia Boa Vista Ultramarathon 2010 in un modo un po’ insolito, cioè come vorrei rimanesse nei miei ricordi, descrivendone alcuni paesaggi e ricordando alcune persone che ho incontrato in questa Avventura.
La corsa è di 150 km no-stop, in autosufficienza alimentare. L’organizzazione fornisce solo acqua e assistenza medica, il percorso è segnalato ma è bene sapersi anche orientare con il road book fornitoci alla partenza.L’isola non è molto grande, circa trenta km da nord a sud ed altrettanti da est a ovest e poterla girare in lungo e in largo a piedi è davvero un privilegio per pochi eletti in quanto racchiude una natura ancora incontaminata che credo si possa trovare tale solo in pochissimi posti su questo pianeta.Io che provengo da un paesino di montagna sono rimasto forse più stupito degli altri nel vedere queste immense spiagge vergini ed incontaminate costeggiate da un mare trasparente color turchese.
A bocca aperta anche quando, al primo punto di controllo, si incontra il più grande relitto esistente al mondo, nella spiaggia di Boa Esperanca, a nord dell’isola, che spunta possente dall’acqua a pochi metri dalla riva e mi fa precipitare in un attimo dentro un romanzo di pirati.
È il deserto di Viana… che sembra impossibile ma inizia senza preavviso. Sto calpestando delle sterpaglie di piante apparentemente secche cresciute tra i sassi rosso mattone e mi trovo di fronte, in un batter d’occhio, ad una distesa infinita di sabbia color cipria nella quale perfino le foto diventano chiare, quasi sbiadite e di color pastello e capisco che sto entrando in un mondo che non è il mio, è misterioso ma non incute paura, anzi, mi dà un senso di pace.

Non ci sono serpenti, per fortuna e questo mi ha tranquillizzato: era l’unico timore che mi ero portato appresso. Di spaventi, comunque, ne ho presi, soprattutto la notte, mentre si costeggia la salina, quando una miriade di grandissimi granchi mi vengono incontro salterellando come se fossero sui trampoli, si avvicinano incuriositi, attratti forse dalla luce frontale. Poi si allontanano di scatto col tipico movimento laterale e pare che il terreno si sposti facendomi perdere l’equilibrio.

Di giorno gli unici esseri viventi con cui faccio confidenza sono le zanzare e gli stormi di libellule coloratissime dal rosso al blu, alcuni piccoli somari pelosi e qualche cane randagio apparentemente innocuo e tranquillo.I pochissimi alberi che mi appaiano lungo il cammino sono le palme: molte di esse sembrano degli scheletri piegati dal vento altre, invece, si ereggono maestose come delle torri. Sotto le due più grandi ci hanno fatto il checkpoint numero 3, che posso facilmente vedere da lontano e mi indica la retta via per l’uscita dal deserto .
Ci sono dune più modeste anche dalle parti di Espingueira, cumuli sabbiosi ricoperti da una misera vegetazione di piante grasse e sterpi, io le ho attraversate di notte e non capivo se il terreno fosse in salita o in discesa, e mi hanno ingannato anche sulla percezione della distanza che stavo percorrendo. È tutto magico, alle volte mi sembra di volare, altre corro corro e mi sembra di essere fermo (questa non è magia però, è stanchezza…)Ero solo ma non avevo paura, poco prima avevo incontrato Francesco a cavallo del suo quod il quale mi aveva confermato che stavo procedendo nella giusta direzione e che aveva appena controllato le balise di segnalazione lungo la pista.

La spiaggia a sud, che si percorre circa a metà gara, è una distesa di sabbia bianchissima e uno dei tratti più impegnativi mentalmente. Quel luogo è stato testimone di un fatto che merita di essere raccontato perché, secondo me, racchiude lo spirito con il quale ogni podista amatore dovrebbe affrontare queste imprese.Angelo è un ultrarunner non più giovanissimo ma dal fisico asciutto e scattante, con una lunga barba che gli copre mezzo volto e due occhi brillanti da bambino che gli conferiscono un’aria simpatica.

Tutte le mattine che precedevano la gara si faceva la sua bella corsetta fino al primo checkpoint oppure usciva con la montain bike a scrutare i posti nascosti dell’isola. Io mi dicevo: cavolo, questo è uno forte, nemmeno prima di una gara così dura si concede un minimo di riposo!Alla fine dei lunghissimi venti chilometri di spiaggia è giunto assieme ad altri tre atleti: probabilmente l’idea era di continuare assieme.
Arrivato al punto di controllo sì è tolto zaino, scarpe, maglietta, pantaloncini e mutande, adagiando tutto questo stomachevole materiale puzzolente su una pietra. Poi si è girato verso gli altri, sbigottiti da quella vista, e ha pronunciato queste parole:“Io non ho scuse, com’è consuetudine giustificarsi in questi casi, non ho dolori atroci, crampi allo stomaco o altre magagne che mi impediscono di proseguire, ho fatto abbastanza oggi, sono troppo stanco e sorridente”. Terminato il breve “discorso”, in un baleno si getta, con un agile tuffo, nell’oceano.

Quando esce pimpante e rigenerato si rivolge a Piergiorgio, il “guru” super abbronzato dai lunghi capelli nonché ideatore della manifestazione e si mette a completa disposizione per aiutare lo staff nelle lunga notte che sta per giungere.L’ho incontrato poi all’arrivo, mentre a squarciagola mi incitava, in gruppo con un nutrito pubblico, forse una ventina di persone. E, sempre sorridente, mi porge una freschissima bottiglietta d’acqua.E qui che entra in scena un altro angelo, che di nome fa Mario, uno dei medici dell’organizzazione, anche lui atleta, ed è stata la persona che dopo mia moglie ho più desiderato di trovare ad aspettarmi perché i miei piedi sanguinanti urlavano di dolore.
Con una gentilezza non comune, mi ha resuscitato dallo svenimento provocato da un calo di pressione, cosa che succede spesso nelle gare lunghe. Di solito risolvo questo inconveniente sdraiandomi coi piedi in alto, mentre stavolta me ne sono dimenticato e quindi, poco dopo, giunsi all’hotel attaccato ad una flebo con tutto il mondo che girava intorno a me.Senza guanti e maschera antigas si è anche prodigato ad alleviarmi il dolore acutissimo ai piedi, completamente maciullati dalle scarpe che forse non erano particolarmente adatte a questi terreni pietrosi.
Come gesto di riconoscenza gli ho appena spedito a sua insaputa una pregiata bottiglia di grappa alle erbe di montagna. Non ho mai visto un dottore astemio, io sono fatto così…Chissà se anche Gianfranco, il giornalista, sta scrivendo il suo racconto in questo momento.L’ho conosciuto due sere prima della partenza ed è stata una piacevole compagnia durante la cena a base di aragosta nel locale del mio compaesano Luca.
È strano come ad entrambi una brutta malattia fortunatamente risolta ci abbia catapultato, in tarda età, nel mondo del podismo.Forse anche per questa insolita coincidenza abbiamo notato subito che c’era un certo feeling tra noi ed oltre che abbuffarci di ogni ben di Dio abbiamo parlato senza sosta fino a tarda sera.
Mi disse che era un po’ intimorito da questa competizione perché fuori della sua portata in quanto non si era mai cimentato su distanze così lunghe e che sicuramente non sarebbe stato in grado di concluderla.

È stata una grande gioia quando ci hanno comunicato il suo arrivo assieme ad altri due atleti, e mi è dispiaciuto non poterli applaudire all’arrivo. Per me, percorrere anche quelle poche centinaia di metri che distavano dall’hotel, sarebbe risultato impossibile nelle condizioni fisiche in cui mi trovavo.Mai come in questi casi la consumata frase “volere è potere” si è rivelata perfetta per tutta quella situazione.

Boa Vista Ultramarathon non è solo una sfida contro te stesso, non è solo fatica e dolori, è una lezione di vita che ti conduce nei momenti di maggior difficoltà ad essere quello che veramente sei, non ti puoi imbrogliare, se sei sincero con te stesso sei anche in pace e corri sereno fin dove la mente ti vuole portare.Ne ho fatte diverse di Ultra, molte perfettamente organizzate e stupende, ma questa ha qualcosa in più oltre all’incantevole paesaggio.
Sarà il fascino esotico, l’atmosfera familiare che si respira, sarà che ho anche un conto in sospeso con lei, comunque, alla prossima edizione, ci sarò e spero con me tanti altri, perché merita davvero un più ampio riconoscimento rispetto a quello che gode attualmente.