trasferirsi a Capoverde

Trasferirsi a Capoverde 

Un asilo per i poveri: «La mia nuova vita per i bimbi africani»

Ex commessa crea una scuola sull’isola di Capo Verde. Oggi, domenica 6 settembre, in città per presentare il progetto e raccogliere fondi

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Leggi Capo Verde e pensi subito al turismo sessuale (anche femminile). Dreds, droga e mare azzurro. I guasti delle vacanze di massa nelle isole lontane. E poi c’è Kabu Verde (in creolo), stelle, luna, alba, tramonto, il canto delle onde e il calore delle persone, a 500 chilometri dalle coste del Senegal. Oceano Atlantico. È qui che Sonia Stacchezzini ha scelto di vivere, dando un taglio alla frenesia della sua esistenza precedente.

Prima c’era il lavoro al centro commerciale (l’ultimo di una lunga serie), il mutuo trentennale per comprarsi casa, il grumo d’insoddisfazione per la sequenza incolore dei giorni sempre uguali e i legami sfilacciati. Dopo c’è Kabu Verde. «Com’è? Come i nostri anni ’40 ma con la tecnologia di oggi»

racconta Sonia, attenta a non scivolare nel luogo comune uguale e contrario, quello del paradiso esotico abitato dal buon selvaggio. Per lei, che ci vive insieme al marito bolognese dal 2007, non è mai stato un paradiso, da donna bianca il rispetto se l’è dovuto sudare il doppio, se non il triplo. Potesse scegliere tornerebbe qui, ma lì sta meglio.

«Se a Mantova mi metto a parlare, non mi ascolta nessuno» a Kabu Verde, invece, ha 80 bambini che la stanno a sentire e dipendono dalle sue premure.

Sono i bambini dell’asilo che ha fondato nel 2013 a Sal Rei, sull’isola di Boa Vista, per offrire un’educazione anche a chi è nato nella parte “sbagliata” dell’isola, nelle baracche di periferia, a pochi chilometri dai resort a 5 stelle per i turisti dell’altro mondo. A proposito di contraddizioni. E pensare che Sonia era sempre stata diffidente della beneficenza organizzata di ong, onlus e cooperative varie. Poi ci si è tuffata e adesso – in un rovesciamento di priorità – lavora per finanziare il suo asilo, che ospita bambini dai 6 mesi ai 5 anni: la maggior parte sono figli di famiglie poverissime.

Tenere i conti dell’asilo in equilibrio non è facile, ci sono l’affitto e le bollette da pagare, tre insegnanti e una cuoca da stipendiare, più il cibo da mettere in tavola. E poi c’è il materiale scolastico e ospedaliero che Sonia si preoccupa di raccogliere e consegnare anche nelle altre isole dell’arcipelago. Cuore grande e grande pudore («niente foto sul giornale, se possibile»).

Quando la sua associazione “Un Click per un Sorriso” è a corto di fondi, lei chiede una mano alla onlus Fiori di Campo (di Bologna), lancia l’amo sui social network, va in giro a vendere oggetti realizzati con materiale di riciclo e conchiglie. Ecco, a Mantova Sonia è tornata anche per presentare il suo progetto, sensibilizzare e raccogliere fondi: chi volesse guardarla negli occhi mentre racconta del suo asilo, può trovarla stamattina, 6 settembre, alle 11 in via della Mainolda nell’Atelier delle Arti di Chiara Rossato, col quale l’asilo ha avviato uno scambio. Oppure la sera dell’11 settembre alla Fiera Millenaria di Gonzaga.

 

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